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  • Ruoli, brand, strategie: tutto quello che c’è da sapere sul Native Advertising

    1 Agosto 2017

    Il Native Advertising è una forma di pubblicità contestuale online, diffusasi rapidamente negli ultimi anni, che, detto in maniera semplice, consiste nell’inserimento di contenuti pubblicitari all’interno di contesti coerenti con questi ultimi cercando, anche visivamente, di omogeneizzarsi alla pagina web in cui sono inseriti. Un tipico esempio di native advertising può essere quello di una pubblicità di scarpe da sposa all’interno di un articolo che parla dei possibili abbinamenti fashion per il grande giorno. Ma in che modo il native advertising incide su una strategia digitale? E in che modo possiamo utilizzarlo nei nostri piani di marketing? Claudio Vaccaro, Co-fondatore e CEO della web marketing agency BizUp, è tra i docenti del Master in Digital Marketing (Formula Online + Digital Factory) in partenza ad ottobre. Lo abbiamo intervistato per scoprire qualcosa in più sul Native Advertising e sulle figure professionali che possono aiutarci ad applicarlo nel Digital Marketing. Claudio Vaccaro Master Digital Marketing

    Si parla sempre di più di Native Advertising. Come si è evoluto lo scenario negli ultimi anni?

    Facciamo tutti Native da anni senza saperlo. Quando Facebook nel 2012 ha introdotto gli sponsored post su mobile ha cambiato il mercato. L’investitore pubblicitario non aveva e non ha maggiore spazio rispetto all’utente per promuovere i propri contenuti. La pubblicità è identica nelle forme e nella dimensione a qualunque altro contenuto proposto nel newsfeed e non interrompe mai l’utente. Una cosa semplice ma rivoluzionaria, perché si inserisce perfettamente nel nuovo contesto d’uso prevalente, che è il mobile browsing (e infatti Facebook oggi grazie a quella scelta genera tre quarti dei suoi ricavi da mobile). La vera novità di questi anni è la possibilità per i brand di poter acquistare spazi pubblicitari native fuori dal contesto social, in contesti Premium, ovvero siti professionali con contenuti curati da una redazione. Possibilità straordinaria sia in termini di brand safety (garantita a monte perché controllata) sia in termini di match semantico tra un contenuto con l’annuncio inserito (ad esempio: una pubblicità di un passeggino su un articolo a tema mamme pubblicato su un sito legato al mondo femminile). L’importante è ricordarsi che il native è una tattica “paid” che deve rientrare in una strategia globale, altrimenti il rischio è di non sfruttarne appieno le sue potenzialità: annunci native display, articoli sponsorizzati, influencer marketing (ovvero la possibilità di ottenere contenuti sponsorizzati su blogger e opinion leader sui social) possono cambiare radicalmente il modo di fare pubblicità e portare risultati straordinari, se dietro al canale e al formato si disegna una appropriata strategia di content marketing.
    Native advertising
    Credits: Depositphotos #132969986

    Qual è la figura professionale più adatta a svolgere questo ruolo?

    Le figure professionali coinvolte sono di due tipi: una lato “domanda” (ovvero: gli inserzionisti pubblicitari che hanno esigenze di comunicazione) una lato “offerta” (ovvero: gli editori online, i publisher che vogliono monetizzare). Nel primo caso una tipica figura professionale coinvolta è quella del Digital Strategist e del Media Planner, che deve saper integrare le attività di native advertising all’interno di una strategia digital complessiva per il brand. Sul piano operativo invece la figura professionale richiesta è quella dell’advertising specialist, che sa attivare e ottimizzare campagne nelle diverse piattaforme e network native. Lato “offerta” invece le due figure essenziali sono quella dello Yield Manager (la cui attività principale è quella di ottimizzare l’inventory disponibile di un sito per monetizzarla il più possibile) e quella del Campaign Manager o Trafficker, che invece ottimizza sul proprio ad-server le campagne vendute ai clienti per fare in modo che performino.

    Quali sono brand ed aziende che hanno fatto scuola da questo punto di vista?

    Dal punto di vista della produzione di branded content legati a progetti strategici di content marketing sicuramente i primi che mi vengono in mente sono BNL con il progetto Hello World e Henkel con il branded magazine DonnaD. Sisal e Trollbeads hanno realizzato ottimi progetti di influencer marketing. Lato Native Display e Native Video ho visto lavorare molto bene Vodafone e diversi brand automotive come Toyota. Tutte le “best case” sono accomunate da un denominatore comune: i brand devono fare “un passo indietro” dal punto di vista della comunicazione, puntando prima sul valore del contenuto e poi sulla loro presenza.

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    Quali sono le principali piattaforme native da conoscere assolutamente?

    Esistono due ambiti essenziali da presidiare: il contesto UGC/Social, attraverso le piattaforme di Social Advertising messe a disposizione da Facebook, Twitter, Linkedin e gli altri Social Network. Sapere utilizzare queste piattaforme è essenziale. Poi esiste il contesto Premium: qui vi sono network e piattaforme come Outbrain (famosa per il “Recommendation Widget”, i contenuti sponsorizzati a fondo articolo) o la nostra UpStory su formati come l’in-feed e l’in-text e il video native.
    Native Advertising
    Credits: Depositphotos #77283616

    Native ADV vs Display: è sfida all’ultima impression o possono (e devono) convivere?

    Iniziamo col dire che ogni forma di advertising ha obiettivi specifici e si inserisce in un media plan globale: non per forza l’una sostituisce l’altra. Dal mio punto di vista il Native sostituirà gradualmente alcune forme della display advertising più tradizionale, mentre alcune forme più di “alto impatto” (come i rich media) continueranno a prosperare. La bussola dev’essere sempre il customer journey, cercando di avere un approccio il più possibile olistico e strategico al marketing online: per raggiungere obiettivi di reach (copertura del target) e impatto la display è ancora imbattibile, ad esempio. Il Native advertising invece è fondamentale per coinvolgere l’utente incuriosendolo e fornendo informazioni essenziali nella delicata fase della “consideration”. L’effetto combinato di display + native e influencer marketing è perfetto per raggiungere risultati lungo tutto il funnel di acquisizione.

    Claudio Vaccaro è docente del Master in Digital Marketing, scopri il programma completo qui!