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  • Micro-influencer: nuovi scenari ed opportunità per le digital PR

    12 Ottobre 2016

    Quello dei micro-influencer è un tema abbastanza nuovo nell’ambito di una disciplina, quella delle digital PR, su cui si ricerca da anni e su cui si continua a riflettere nel tentativo di individuare delle procedure e di valutare, in maniera sempre più precisa e attendibile, l’impatto del coinvolgimento degli influencer sulla notorietà di una marca o prodotto o nell’orientare il comportamento d’acquisto delle persone/utenti.

    È sull’influencer, infatti, che fino ad oggi, come ho già raccontato in questo articolo, si è concentrata l’attenzione di ricercatori e marketer, così tanta che queste persone sono, in alcuni casi, divenute delle vere e proprie web star, con parcelle a volte anche molto alte per garantire la loro partecipazione ad eventi promozionali o per la scrittura di un semplice articolo sui loro siti e blog.

    Ma perché si è attribuita tanta importanza agli influencer e al passaparola che questi sono in grado di generare su prodotti e marche? È certamente merito delle tante ricerche e teorie che in questi anni hanno, con sempre più forza e scientificità, affermato il peso crescente del passaparola tra le persone come driver all’acquisto e nel determinare la scelta di un brand tra tanti altri che offrono prodotti simili.

    Tra queste teorie possiamo citare certamente quella dello ZMOT di Google (Zero Moment of Truth, 2011) che afferma, una volta per tutte, che la decisione d’acquisto, soprattutto per alcune categorie di prodotti e servizi, avviene online e che è frutto della immagine della marca e/o del prodotto che l’utente si fa grazie alle recensioni, alle opinioni, al passaparola degli altri utenti che hanno già fatto esperienza di quel prodotto.

    Un’idea che, in effetti, è facile verificare anche nella nostra pratica quotidiana: ormai tutti leggiamo le recensioni di Trip Advisor et similia prima di sederci in un ristorante a mangiare perché sappiamo bene che seguire il parere di chi ha già fatto esperienza di quel posto (o di quella cucina, nello specifico) ci eviterà delle brutte sorprese e di spendere del denaro per qualcosa che potrebbe non piacerci o lasciarci insoddisfatti. Un più basso rischio, quindi, ma niente fascino della scoperta.

    Tali opinioni pare, stando ad altre importanti ricerche condotte su questo particolare e antichissimo fenomeno del passaparola (che ha a che fare anche con il fenomeno psicologico dell’influenza sociale), siano tanto più in grado di condizionare le nostre scelte quanto più appartengono e vengono espresse da persone a noi vicine.

    Lo studio di Nielsen, Global Trust in Advertising, periodicamente rilasciato dalla nota società di ricerca, sostiene da tempo il potere del passaparola nell’influenzare le scelte di consumo delle persone. Nello specifico Nielsen colloca al primo posto per credibilità tra le diverse forme di earned media (ovvero quei media “conquistati” per merito, per i quali la marca non paga la sua visibilità) le raccomandazioni degli amici, delle persone che conosciamo davvero, nella vita reale. Solo successivamente si collocano le opinioni dei consumatori postate online ovvero di quelle persone che conosciamo solo virtualmente o che non conosciamo affatto.

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    Chi sono i micro-influencer?

    Proprio questo passaggio ci consente di introdurre il tema dei micro-influencer che in più parti della rete sono definiti così: persone non conosciute o famose (come invece consideriamo gli influencer, siano essi solo personalità della rete o VIP nel mondo dei media tradizionali) ma persone cui riconosciamo una expertise nella vita “reale”, che sappiamo lavorano appassionatamente nel loro settore e per questo sono ritenute credibili e fidate quando si esprimono sui prodotti e sui servizi che appartengono al settore in cui operano, o di cui sono appassionati.

    Una ricerca condotta dal Dr. Jonah Berger della Wharton School e Keller Fay Group ha recentemente acceso i riflettori sul ruolo e sulle caratteristiche di queste persone che sembrano, alla luce degli ultimi studi, avere un peso molto importante nel determinare le scelte e i comportamenti d’acquisto delle persone, molto più di quanto si sia creduto fino ad oggi. La ricerca traccia subito i confini tra gli influencer e quelli che possiamo definire dei micro-influencer: un primo importante tratto distintivo tra i due profili è il reach dei due profili ovvero il numero di contatti che queste persone sono potenzialmente in grado di raggiungere con una comunicazione attraverso i propri spazi online: se gli influencer sono in grado di raggiungere un numero molto elevato di utenti, in virtù della popolosità delle proprie pagine/profili sui social network e del traffico ai loro siti o blog, lo stesso non accade per i microinfluencer che si collocano in network di utenti di dimensioni inferiori ma composti da utenti che, in virtù del rapporto più “concreto” con i microinfluencer, sono tendenzialmente interessate ai messaggi rilanciati da questi.

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    I dati raccolti con questo studio consentono, infatti, di affermare che tendiamo a dare la massima importanza e fiducia ai consigli, alle opinioni o raccomandazioni delle persone che conosciamo e cui attribuiamo una certa esperienza o conoscenza specifica, maturata, ad esempio, grazie al lavoro svolto o alla passione verso un tema specifico.

    Dal canto loro, i microinfluencer sembrano non lesinare raccomandazioni, dirette e puntuali su cosa acquistare e perché (il 74% dei micro influencer incoraggia esplicitamente le persone a provare o a comprare un prodotto): la ricerca afferma infatti che essi producono in media il 22% in più di raccomandazioni all’acquisto rispetto ai normali utenti, e che sono in grado di descrivere in maniera efficace caratteristiche, funzionamento e vantaggi dei prodotti consigliati.

    Anche per questo motivo l’82% del campione/utenti intervistato dalla ricerca dichiara di seguire le raccomandazioni dei microinfluencer: essi sono ritenuti più credibili, esperti e molto più capaci di spiegare il funzionamento di un prodotto, rispetto alla media delle persone.

    C’è un dato che forse non stupisce ma che sicuramente impone una riflessione su come bisognerà  strutturare le attività di digital PR del futuro che avranno come interlocutori i microinfluencer, questo dato riguarda il luogo del passaparola tra microinfluencer e pubblici: le loro raccomandazioni d’acquisto, i consigli su prodotti e servizi, avvengono più di persona che attraverso i loro spazi digitali.

    Nel considerare la possibilità di coinvolgere questi nuovi profili di influencer nell’ambito di campagne di digital PR bisogna tener conto di un altro aspetto molto importante, quello relativo all’engagement che questi profili riescono ad attivare nella propria cerchia di contatti. Chi svolge o ha svolto attività di digital PR sa bene quanto spesso capiti che blog o influencer, con numeri a prima vista meno importanti rispetto ad altri canali, riescano ad ingaggiare i propri follower in maniera visibile, generando conversazione e interazione con la campagna ed il messaggio.

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    Qualità vs quantità

    Ma non è solo un’impressione. Uno studio di Digiday mostra come i profili Instagram che hanno fino a 1.000 followers abbiano un like rate dell’8% laddove, invece, quelli che hanno un numero di follower compreso tra i 1.000 e i 10.000 hanno mediamente un tasso di like del 4%.

    Ciò probabilmente accade perché, come già accennato, il network dei profili con un numero inferiore di followers, si costituisce per la maggior parte di persone che conoscono personalmente l’utente e sono quindi portati a ritenerlo più autentico e credibile, ad interagire maggiormente con lui e a seguirne le raccomandazioni.

    È ovvio per concludere che questa figura di influencer necessita/necessiterà di un approccio per il coinvolgimento differente rispetto a quanto fatto ed appreso fino ad oggi per la relazione con community e influencer, ma si configura sicuramente come un elemento interessante che arricchisce le possibilità di azione delle digital PR, imponendo nuove sfide e portando la relazione delle marche con gli utenti ad un livello più ampio, meno elitario, più democratico.

    digital pr Questo guest post è stato scritto da Giovanna Montera, Chief Marketing Officer di Viralbeatdocente del Master in Digital Marketing.